Marta Salogni, da Brescia ai Depeche: "Il nuovo disco è pronto"
Parla la produttrice italiana alla quale Dave Gahan e soci hanno affidato "Memento mori": intervista
Di Mattia Marzi
Come nella più classica delle favole, è cominciato tutto con un colpo di fulmine. Solo che Marta Salogni, 32 anni, partita da Brescia per arrivare a condividere lo studio di registrazione pure con i Depeche Mode, che hanno affidato alle sue mani il loro nuovo album “Memento Mori”, non si è innamorata di una persona in carne ed ossa. Ma di un mixer: “Negli anni delle superiori frequentavo il Magazzino 47, centro sociale considerato l’epicentro del movimento underground di Brescia.
Un giorno mi avventurai nel retro e vidi questo enorme banco, nei confronti del quale provai subito un’attrazione enorme”, racconta lei, oggi di base a Londra, dove ha collaborato o continua a collaborare con .Björk, M.I.A., Animal Collective, Black Midi, Bon Iver e dove quest’anno gli addetti ai lavori l’hanno premiata agli MPG come produttrice dell’anno. “Quando incontrai per la prima volta quel banco da mixaggio, non sapevo ancora cosa fosse l’ingegneria, ma cominciai ad appassionarmi alla materia: arrivai a teorizzare che la manipolazione del suono potesse essere di per sé una performance, dall’altra parte del palco o del vetro di una sala di registrazione. I ragazzi del centro sociale mi fecero conoscere Carlo Dall’Asta, che lavorava come fonico per il Magazzino 47. Fu il mio spirito guida”, dice Marta, reduce dagli ultimi ritocchi al quindicesimo disco di inediti della band di “Personal Jesus”.
La domanda è d’obbligo, se non altro perché l’attesa è alle stelle: è il primo disco dei Depeche senza Andy Fletcher, scomparso la scorsa primavera, e interrompe un silenzio lungo sei anni. A che punto sono le lavorazioni di “Memento Mori”?
“Il disco è pronto. Lo abbiamo registrato quest’estate. Ho appena finito di mixarlo, qui a Londra”.
Uscirà nel 2023, ha detto Dave Gahan. Che si è detto entusiasta del lavoro fatto con te: “Porta idee interessanti e fresche, che fanno emergere l’identità dei Depeche nel migliore dei modi”. Come sei finita a produrre una delle più grandi rock band del mondo?
“Merito di James Ford, che ha prodotto il precedente ‘Spirit’. Mi ha chiesto di dargli una mano per questo disco, sapendo che avevo già lavorato con Dave Gahan in più occasioni”.
Quali?
“Nel 2015 feci da assistente per ‘Angels & Ghosts’ dei Soulsavers, la band di Dave parallela ai Depeche Mode, poi la collaborazione si è rinnovata nel 2020 per ‘Imposter’ come ingegnere di mixaggio.
Conoscevo la materia, la storia del gruppo. Per anni ho lavorato negli studi della Mute Records, la prima casa discografica di cui hanno fatto parte i Depeche grazie al fondatore Daniel Miller, anche lui un amico e spirito guida. Ford è partito proprio da lì: ‘Produrrò il nuovo disco. So che hai già lavorato con Dave, sei la persona più adatta a darmi una mano. Ne ho già parlato con la band e sono tutti d’accordo’. Anche se io normalmente ora mi occupo di produzione, in questa occasione mi sono occupata della registrazione, ingegneria del disco e poi del mixaggio. È stata un'esperienza molto stimolante a livello creativo, grazie alla quale ho avuto modo di esplorare suoni e arrangiamenti e mi sono sentita libera di esprimermi con idee e proposte nuove e sperimentali".
Facciamo qualche passo indietro: come ci sei finita a Londra?
“Alla fine del liceo mi sono detta: ‘Cosa posso fare dopo la maturità?’. A Brescia già mi occupavo di seguire festival e band della scena live locale e dentro di me sapevo di voler provare ad intraprendere una carriera in studio di registrazione. Volevo continuare ad imparare il più possibile sull'ingegneria del suono, ma dove abitavo non c’erano grandi studi all’avanguardia. La provincia aveva cominciato a starmi un po’ stretta. Decisi di partire per il Regno Unito per arricchire il mio bagaglio. Frequentai per nove mesi un college per imparare i termini dell’inglese ‘tecnico’, diciamo così, quello parlato negli studi. Finito il corso cominciai a lasciare i curricula negli studi. Presentandomi di persona, perché con le mail non si combina mai niente”.
E poi?
“All’inizio portavo i tè e i caffè e mettevo in ordine lo studio prima e dopo le sessioni. Con pazienza e dedizione cercavo di imparare il piu' possibile dai produttori e dagli ingegneri di passaggio. Poi conobbi David Wrench, che è stato per me un altro mentore. Ha capito che c’era del talento in me. Si fidò, permettendomi di affiancarlo nei suoi lavori per Frank Ocean (‘Self Control’, dall’album ‘Blonde’ del 2016), David Byrne (l’album ‘American Utopia’ del 2018) e Bloc Party (l’album ‘Hymns’ del 2016), tra gli altri. Lavorare con lui mi ha permesso di imparare ed allo stesso tempo fare molta esperienza ad alti livelli".
Se fossi rimasta in Italia avresti avuto tutte queste opportunità?
“Non credo. In Italia è tutto più difficile. Parlo anche di percorso: ai miei tempi non c’erano molte scuole o corsi. Mi auguro che ora le cose siano cambiate: d’altronde sono passati tredici anni da quando mi sono trasferita a Londra”.
Anche nel music biz d’oltremanica c’è un problema legato ai pochi spazi concessi alle musiciste donne?
“Sì. È un problema globale. Le statistiche sono chiare: dicono che le produttrici donne sono meno del 5% del totale. Devo dire negli ultimi anni le cose sono leggermente migliorate: quando ho iniziato a lavorare nel Regno Unito, più di dieci anni fa, le ingegnere del suono e produttrici donne contemporanee le contavano sul palmo di una mano, mentre ora per contarle ci vogliono quattro e piu' mani (ride). Ma c’è ancora tanta strada da fare. Per fortuna i role models stanno aumentando di numero".
Hai curato la quattordicesima edizione di Transmission, il festival che si svolgerà dal 24 al 26 novembre a Ravenna: cosa si ascolterà?
“Ho chiamato a raccolta artisti e artiste di cui ho profondo rispetto, che da tempo volevo vedere nello stesso contesto. Si va da Lucrecia Dalt e Kali Malone a Sam Shepherd dei Floating Points, passando per Valentina Magaletti e Miriam Adefris, Erland Cooper, Silvia Tarozzi, Bullyache, Francesco Fonassi e Maria Valentina Chirico”.
La musica italiana continui a seguirla, da Londra?
"Credo che l’esportazione sia leggermente complessa ma cerco di tenermi informata il più possibile per quanto riguarda la scena musicale italiana. Dopotutto, un pezzo di me è rimasto sempre lì''.
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